Sono entrambi chiamati «bisce d’acqua» perché vivono in zone acquitrinose. La biscia è un serpente non velenoso, innocuo che vive fra l’erba, dove si nasconde in attesa della preda. È un’abile nuotatrice, che si nutre di anfibi come rane, rospi (per questo è detta anche «ranarola»), pesci, lucertole, cavallette, che ingerisce vivi.
Se si sente in pericolo, si rovescia sul dorso, a bocca aperta, in uno stato di morte apparente (tanatosi). Non resiste al freddo (perciò è definita animale “eterotermico”) e pertanto entro ottobre va in letargo. Ha l’abitudine di rintanarsi in grovigli di bisce sotto cumuli di erbe secche o depositi di sfalci. Qui sotto, nel tepore della primavera, può deporre anche 30-40 uova; ma è a tal punto predata dagli altri animali o così minacciata dai pesticidi, o uccisa perché scambiata per vipera, che è diventata un animale protetto con leggi severissime.
Come tutti i serpenti, anche queste bisce compiono una muta per poter crescere, cioè sgusciano via dalla pelle vecchia, spingendola all’indietro e svestendosene. La spoglia, lasciata a terra, riproduce perfettamente, squama per squama, la forma del serpente.
Un serpente, raffigurato nell’atto di mordersi la coda, formando un cerchio senza inizio e senza fine, indica la ciclicità del tempo, l’eterno ritorno delle stagioni, l’infinito. Il suo cambiare pelle lo rende simbolo di rinnovamento, rinascita, immortalità.
I Romani lo raffiguravano sulle pareti esterne delle loro case perché lo consideravano un benevolo protettore di chi ci abitava. Nella Bibbia, il serpente è identificato con Satana, la tentazione, simbolo del male. Mediamente vive 12-16 anni.
Ogni anno a Cocullo, paesino abruzzese vicino L’Aquila, si celebra il 1° maggio la festa di San Domenico, che attira sempre una folla di turisti: tutto il paese si popola di serpari, uomini che si ricoprono di serpenti e portano a spalla in processione per le vie la statua del santo sommersa dai rettili.